LETTERA FRATERNA n. 92 - Gennaio 2017

Portatori dei frutti
dello Spirito Santo
(Galati 5,16-17)

  

Nell’uomo ci sono delle forze opposte ed egli è chiamato a trasformarci sotto l’azione dello Spirito Santo da uomo carnale in uomo spirituale. Il risultato di una tale vita secondo lo Spirito viene descritto da San Paolo come segue: “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, longanimità, benignità, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Gal 5,22).

Nel testo paolino alle opere della carne non sono opposte le opere dello Spirito, ma il frutto dello Spirito. E la parola Spirito è scritto con la esse maiuscola e potrebbe farci pensare allo Spirito Santo e sbaglieremmo. Come sbaglieremmo se pensassimo che si riferisce alla parte spirituale dell’uomo naturale soggetta anch’essa alla debolezza. Invece fa riferimento all’uomo rinnovato dalla presenza dello Spirito comunicato nel Battesimo (Rm 8,14-16).

Paolo mette in luce che l’uomo spirituale cioè rinnovato dallo Spirito di Cristo, non fa più le opere della carne, ma si comporta da figlio di Dio, cioè con uno spirito evangelico. Colui che vive secondo lo Spirito evangelico è unito a Cristo. “Chi si unisce al Signore forma con Lui un solo Spirito” (1Cor 6,17).

E l’uomo è tanto più uomo quanto più è deiforme.

Questo richiede un continuo staccarsi dall’amor proprio per elevarsi in alto in virtù della grazia, poiché il portare frutto, scaturisce dalla comunione con Dio e dall’azione dello Spirito Santo nell’uomo. Il che non può restare inefficace nei rapporti con il prossimo.

Il frutto dello Spirito va attribuito all’opera divina, in quanto lo Spirito Santo ne è la fonte e l’autore ma la tempo stesso anche l’uomo, in quanto questi rinnovato dallo Spirito, vive personalmente nello Spirito da figlio di Dio (Rm 8,14; Gal 4,5-7).

I frutti dello Spirito sono raggi interiori di una sola luce, quella appunto della carità divina effusa nel cuore dell’uomo dallo Spirito. Il frutto a cui mira Paolo è la carità imitatrice di Dio e perciò unica nella molteplicità delle sue espressioni (Mt 7,16-17). Come un albero buono, cioè sano, da frutti buoni, cioè graditi o utili all’uomo, così lo Spirito Santo produce opere virtuose e godimento spirituale in chi agisce sotto la sua direzione. Il frutto dello Spirito si intende anzi tutto in termini di fruizioni, di godimento da parte dell’uomo spirituale. S. Tommaso nella Suma Teologica osserva e dice: “che nell’ordine naturale il termine “frutto” designa il prodotto di una pianta giunto alla piena maturità e quindi (anche secondo la sua specie) alla soavità del gusto. Trasferito all’ordine spirituale, questo concetto può significare sia la beatitudine eterna di cui l’uomo godrà, sia la giusta soddisfazione, che prova nei suoi atti virtuosi. Così i frutti, attribuiti allo Spirito Santo che è come un seme, posseggono per chi li porta, un soave diletto spirituale. E i frutti dello Spirito sono il segno del fiorire dell’uomo nella vita spirituale, per cui egli santamente si compiace nel fare il bene. Ma anche se l’uomo spirituale è il primo a godere del frutto dello Spirito bisogna dire che i frutti non si limitano alla sfera individuale, ma mirano anche a rivelare in modo sensibile il volto di Dio al prossimo.

Così l’uomo spirituale non soltanto accoglie il frutto portato dallo Spirito ma è anche capace di comunicare al prossimo il bene che lo riempie procurandogli godimento.
E il bene da lui prodotto si dice frutto in quanto egli porta il bene alla luce non soltanto come il prodotto della sua vita secondo lo Spirito, ma anche in quanto vivifica, suscitando nel prossimo l’amore, attraverso la dilettevole comunicazione che fa di se stesso e diventa così una spinta apostolica per la salvezza degli uomini.

L’uomo docile allo Spirito Santo è un figlio della luce, il cui volto e la cui conversazione permettono al prossimo di intravedere qualche cosa della invisibile fisionomia del Padre (Mt 5,16).

Egli sarà riconoscibile dai suoi frutti non dalle sue opere buone come tali. Poiché le opere buone…….. possono essere fatti dai falsi profeti che vengono travestiti da pecore mentre dentro sono lupi rapaci (Mt 7,15).

Noi che ci confessiamo in Cristo, volontari, dobbiamo badare al frutto che portiamo, dobbiamo farlo vicendevolmente, dobbiamo vigilare sui nostri frutti se sono di edificazione, di consolazione, di pace, di concordia, beni spirituali, frutti che emergono quando stiamo insieme. Da questa vigilanza su di noi possiamo con prudenza esprimere un giudizio sullo spirito di chi mi intrattiene o che intrattiene attraverso me gli altri. Vigilare sui frutti significa guardare alla preparazione intima del cuore. S. Tommaso classifica i diversi frutti secondo un triplice ordine. Nella sua classificazione i frutti si riferiscono rispettivamente alla vita con Dio (carità, gioia, pace, pazienza, longanimità, fede nel senso di virtù teologale); alle relazioni con il prossimo (bontà, benignità, mansuetudine, fedeltà);al rispetto delle realtà inferiori (modesta, continenza, castità).

I frutti dello spirito come il combattimento spirituale sono parte integrante di ogni vita e fanno parte dell’intera vita.

Ma chi è in cammino sperimenta che i frutti dello Spirito, quegli abiti permanenti e continui, lo rendono sempre più capace di affrontare e sostenere tale lotta, in quanto cresce il suo gusto per compiere il bene e lasciarsi guidare dallo Spirito.

Come Dio è effusivo in sommo grado e prodigo sul comunicarsi così anche noi dobbiamo essere prodighi nel comunicarci agli altri coltivando verso l’altro un comportamento che costruisce, promuove e crea (Fil 2,4) senza cercare il proprio interesse. Deve disporsi e agire positivamente nei riguardi dell’altro, volergli bene, fargli del bene, rendersi disponibili e utili ad esso, parlarne bene, accettarlo, confermarlo nel bene, avendo nel cuore affetto e tenerezza e quando tutto questo è veramente vissuto nella fede sbocciano sentimenti più alti e generosi che possiamo tradurre in una frase “dare la vita per gli altri”.

Per essere portatori dei frutti dello Spirito Santo quindi di Dio dobbiamo non occuparci d’altro che di Lui, applicare l’intelletto e il cuore per disporci ad ottenere i doni divini indispensabili per il servizio e la costruzione del regno di Dio.

  

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