LETTERA FRATERNA n. 54 - agosto 2013   

LA VISIONE BIBLICA
SULLA SESSUALITA' UMANA (3^ parte)

  

CENNI DI ETICA SESSUALE

Nel discorso etico la categoria di “persona†è assolutamente centrale e la dimensione valoriale del piacere si iscrive al suo interno. In questa prospettiva la sua realtà è essenzialmente oggettuale, costituendo la realtà che a monte e a valle si relaziona con l’amore. L’amore produce l’eros e l’eros produce l’amore.
Accanto a questa dimensione vi è anche quella di ordine strumentale. L’eros come comunicazione diventa non più l’oggetto che l’amore è in grado di produrre, ma il suo veicolo. Ciò significa che l’amore ha bisogno dell’eros per potersi esprimere adeguatamente. Esiste quindi un linguaggio dell’eros fatto di espressioni gestuali, verbali e paraverbali dove la spontaneità è la componente principale. Nell’elaborazione di un discorso etico è necessario che le dinamiche proprie dell’espressività sessuale o, per meglio dire, genitale abbiano la giusta collocazione.

Il comportamento sessuale necessita di un orientamento e, se si vuole che questo rispecchi la realtà del mistero della sessualità stessa, deve essere guidato dalla preoccupazione di integrare la stessa in quell'orizzonte di senso che viene dalla fede e dalla proposta cristiana. Pertanto gli aspetti più significativi dell'etica sessuale neotestamentaria, oltre alla visione di essa data precedentemente, possono essere così sintetizzati:

a) questioni sul divorzio
Per il credente il matrimonio è indissolubile. In Mt 19,3-12 Gesù, interrogato in merito al divorzio, non risponde direttamente ma richiamando Gn 1,27-2,24, va alla radice del problema e sottolinea la qualità, lo spessore della relazione che è d'amore, inteso come fedeltà ad una promessa e realizzazione di un disegno che trova la sua origine e il suo compimento in Dio stesso.
Anche Paolo, in Ef 5, cita Gn 2,24 per indicare la qualità della relazione tra uomo e donna, paragonandola al rapporto tra Cristo e la Chiesa. Dunque per Gesù, come per San Paolo, il testo di Gn 2,24 esprime la promessa, cioè l'indicazione di una relazione di comunione, di amore, di dono incondizionato e totale.
L'indissolubilità del matrimonio allora trova il suo significato nella relazione di comunione che apre l'uomo alla donna e questi al mondo e, se tutto è vissuto autenticamente, apre anche al mistero della vita e all'assoluto.
E qui che si innesta, dentro ai significati umani, ma al di là di essi, il senso della donazione sessuale che si realizza «solo se è parte integrante dell'amore con cui l'uomo e la donna si impegnano totalmente l'uno verso l'altra fino alla morte».
Gesù ricorda infine che esiste un conflitto tra ciò che è progetto di Dio e ciò che succede ora nella storia segnata dal peccato. Un conto è la relazione-promessa, un conto è la relazione storica dove il peccato ha reso duro il cuore e sconvolto l'ordine originario. Gesù, comunque, sottolinea: «ma da principio non fu così» (Mt 19,8) condannando chiaramente il divorzio.

b) La fornicazione.
In 1Cor 6 Paolo affronta la questione della fornicazione e combatte una opinione tipicamente greca secondo la quale l'anima conta per la sua conoscenza ed il corpo ha i suoi istinti, per cui tutto è lecito: non c'è nessuna differenza tra bisogni alimentari e vita sessuale.
Paolo non condivide questo modo di pensare e dice che non tutto giova alla crescita dell'uomo rigenerato in Cristo, perché la sessualità coinvolge l'intera persona e il corpo è del Signore, pertanto alcuni bisogni sono legati al mondo presente e scompariranno con esso, ma la vita sessuale, che coinvolge tutta la persona, coinvolge il Signore stesso al quale il battezzato è legato. Chi va con la prostituta mette Cristo, al quale il battezzato è legato, con la prostituta, cioè pecca contro il corpo che è unito a Cristo.
Paolo, in conclusione, dice no alla prostituzione, cioè ai rapporti con una donna che non è la propria moglie e quindi, in un contesto privo di amore, cita Gn 2,24 sottolineando, ancora una volta, che il fine della sessualità è l'amore, inteso come comunione e dono di sé.

c) Matrimonio e verginità
In 1Cor 7 Paolo risponde a vari quesiti che gli vengono posti, ma alla fine afferma un criterio universale che può essere così definito: il Cristianesimo si può vivere in qualsiasi condizione sociale in cui ci si trova, purché si conservi la fede iniziale della conversione. Il cristiano, dunque, deve vivere liberamente nella stessa situazione in cui si trovava all'inizio della sua vocazione, senza modificare la realtà oggettiva, perché qualunque condizione rende sempre presenti a Cristo.
Per quanto riguarda la verginità, riferita ad entrambi i sessi, Paolo si esprime in questi termini: il tempo si è fatto breve, nel senso che Dio si fatto prossimo all'uomo, dando significato a tutto; l'uomo stesso, per realizzarsi, non ha più bisogno della realtà mondana. Con questo non invita a disprezzare il mondo, ma ad apprezzare la vita con estrema libertà, senza condizionamenti, perché nulla è decisivo per la realizzazione dell'uomo quanto Cristo e Lui solo basta.
Spesso chi troppo lavora ed ha diversi interessi da difendere o preoccupazioni è condizionato nella sua autentica realizzazione, per cui Paolo dice che è bene relativizzare ogni cosa per realizzarsi in Cristo che è vicino all'uomo e che può riempire di senso ogni vita.
Si può essere chiamati ad essere cristiani da sposati, ma se uno non è sposato, essendo unito a Cristo, non ha necessariamente bisogno del matrimonio per sentirsi realizzato. L'uomo non è portato a compimento dagli elementi della vita mortale, quanto dalla sua appartenenza a Cristo. Il cristiano, sapendo che Dio in Cristo si è avvicinato e sapendo che Dio realizza l'essere delle Sue creature, deve rimanere coinvolto nelle esperienze di vita con estrema libertà, perché in Cristo soltanto può esserci la vera realizzazione.
«In questo orizzonte di luce, la verginità consacrata agli interessi di Dio e del Suo Regno, oramai imminente, viene valorizzata (1 Cor 7, 29-39) rispetto al sesso e alla coniugalità che sembrano viste come un ripiego».

d) Morale domestica
In Ef 5,21 si porta il paragone tra lo sposo e la sposa con Cristo e la Chiesa: questo passo appartiene ai testi chiamati codici domestici o tavole familiari, secondo l'espressione di Lutero.
È un testo di indubbia bellezza ma non può essere preso come una summa sul matrimonio, bensì come un tentativo di orientare gli sposi cristiani a trovare la loro giusta posizione relazionale, modellandosi sul rapporto Cristo-Chiesa. Il testo deve essere letto nel suo insieme più che nelle singole parole allora, con questa visione globale, possiamo bene interpretare il pensiero dell'Apostolo quando dice: «le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore». Con questa frase Paolo vuole far capire che nel matrimonio la donna deve vivere con il marito condividendone la sorte, accentandone la condizione di vita, fondando il rapporto sulla dedizione generosa all'altro.
Con la frase simbolica: «amare la moglie come il proprio corpo» Paolo delinea un modello ideale di comportamento: la moglie infatti è parte del marito il quale deve rispettarla e impegnarsi affinché anch'essa possa crescere e realizzarsi divenendo santa e immacolata, proprio come fa Cristo con il Suo Corpo che è la Chiesa.
Quindi il matrimonio è un progetto da accettare insieme e da vivere donando la propria vita in vista di una purificazione escatologica. Il dono deve essere gratuito, così come Cristo si dona alla Sua Chiesa.
La famiglia cristiana, fondata sull'agape, deve realizzarsi alla luce di Cristo morto e risorto e questo comporta una convivenza fatta di gratuità, fedeltà, impegno, sacrificio e reciproca abnegazione.

CONCLUSIONE

La sessualità è energia che apre alla comunione con l'altro e con il mondo che, se vissuta autenticamente, apre anche al mistero dell'assoluto. L'uomo si realizza attraverso relazioni vere e perciò sulla base dei valori.
Ogni uomo o donna che voglia rispondere in maniera corretta al senso della sua vita non può dare che questa risposta.
Eppure, anche dove le relazioni vengono costruite autenticamente e in modo efficace e continuativo, «queste stesse relazioni sono sempre caratterizzate dalla percezione del limite, dell'insufficienza, dalla presenza di elementi riduttivi che caratterizzano qualsiasi espressione umana».
«Ogni relazione umana è segnata dalla possibilità dello scacco, dal venir meno della relazione e dalla possibilità che la relazione stessa non possa più sussistere».
È proprio questa constatazione che soltanto nella rivelazione vera ci si realizza e che ogni relazione umana è limitata, parziale, che fa nascere nell'uomo il bisogno di una relazione assoluta, il bisogno di realizzarsi in un rapporto d'amore definitivo, totale, in oscurabile, caratterizzato dalla certezza di una riuscita eterna.
È qui che si innesta, dentro ai significati umani, ma anche al di là di essi, il senso cristiano della sessualità. Quell'apertura alla trascendenza, al mistero; “quell'orizzonte di non finito e di infinito, che connota la sessualità antropologica come bisogno di una relazione senza limite, trova la vera risposta nel mistero del Dio Cristiano che Dio – Amore, Dio Trinità, perché soltanto di un Dio che vive in comunione di Persone si può dire che è Amoreâ€.
L'etica cristiana dà all'amore un'intenzionalità nuova che aggiunge nuovo senso alle norme morali naturali: il cristiano vive in Cristo una radicale novità di vita. Il nuovo è rappresentato dal fatto che Dio è entrato nella storia (Gv1,14) ed è possibile vivere qui, in questo mondo, la dimensione divina, per cui la fede determina una autocoscienza nuova.
Noi siamo figli nel Figlio: siamo un'unica cosa con Cristo che è il Vero Figlio. Tutto questo ha un risvolto singolare per quanto riguarda l'etica sessuale ed i suoi vari aspetti, che acquistano così significati di grande qualità. Nella fede accade che il comportamento sessuale è connotato dal mistero di Cristo, perciò gli atteggiamenti dell'amore non sono risposte a stimoli, ma la possibilità di tradurre la Carità di Cristo nel volgersi della vita terrena.
L'amore coniugale riproduce l'amore infinito che Dio ha attuato nella storia.
Il corpo appartiene alla dimensione sacrale dell'amore di Dio, per questo il matrimonio è gesto salvifico: è strumento di salvezza. Nel matrimonio ci si salva perché è Cristo che si fa presente nell'autodonazione; in esso si rende attuale il sì dell'umanità al suo Signore. Nella celebrazione cultuale il matrimonio diventa così evento di salvezza, esercizio della funzione sacerdotale per cui i battezzati celebrano il culto a Dio nella loro unione.
Infatti il culto cristiano non è solo liturgia ma è vita, offerta, sacrificio, comunione.
La castità consacrata che rifiuta la corporeità vive la sponsalità eterna nel mistero di Dio ed è segno dei tempi futuri.
Il matrimonio è un mistero al servizio della Chiesa e del mondo.
La castità cristiana è prima un dono che uno sforzo della volontà.
Tale dono fa sì che il corpo umano sia assunto da Cristo e destinato alla Risurrezione finale (1Cor 15) con la quale Dio realizza pienamente ogni aspirazione umana ed ogni anelito di felicità.